Lo chiamavamo Keaton quel pianista,
Naturalmente perché non sorrideva mai,
Mentre noi ci ammazzavamo di risate
A vederlo là, come un parafulmine, dritto contro un cielo di guai;
Guai di tasca a violoncello, guai d' amore,
Guai da vita distratta e disperata
Che ricamavano dentro al suo stupore
Una tela affascinante, ma un po' troppo delicata...
Keaton si presentò come un jazzista,
Appassionato e puro, in stile Rete Tre,
Coi pregiudizi di chi si sente artista
Perché non faceva soldi, lui, con le canzoni, come me,
Ma non mi accompagnava poi malvolentieri,
Eravamo due grandi acrobati della malinconia
E poi, poi dobbiamo farne di mestieri
Noi che viviamo della nostra fantasia...
Parlavamo poi molto in quelle sere,
In qualche bar, dopo il concerto, insonni e morti,
Di politica, ciclismo, storie vere
E di come i "Weather Report" erano forti
E di come era importante fra la gente
Non essere solo musica e parole
E di come era importante che la gente
Non fosse una massa di persone sole...
Ah, Keaton, Keaton, che fine hai fatto, Keaton?
Sei poi andato in malora, Keaton?
Lo sai che ti sto venendo a cercare?
Keaton, ah, Keaton, perché stanotte, Keaton,
Proprio stanotte, Keaton, avrei bisogno di sentirti suonare...
S'illuminava poi come di colpo
Lungo l'effimero consueto di una sera,
S'illuminava di una gioia grande
Quando si avvicinava a una tastiera
E preferiva quelle un poco usate,
Quelle in cui tutti mettono le mani,
Quelle ingiallite dal tempo, un po' scordate
Dall' ignoranza e dalla passione degli umani...
E poi una volta abbiamo litigato
Per una donna prima sua e poi mia,
Lui coi suoi guai, io col mio quasi peccato,
Sconfitti entrambi dalla gran malinconia;
Ci siamo persi quasi senza una parola,
Ma tutti e due con più rabbia che rimpianto,
Come i bambini che si fan dispetti a scuola,
Come due vecchi che si sono amati tanto...
Poi ho provato a rintracciarlo dappertutto,
Chiedendo a più d' un dirigente supponente,
Telefonando all'Arci-caccia, all'Arci-tutto,
Ma di Keaton sembra non sia rimasto niente.
Se se ne parla è nel ricordo di un momento,
Qualcuno dice che l'ha visto, ma lontano,
E tutti, tutti con un gran sorriso spento
Come per dire: "Era un ragazzo troppo strano".
Ah, Keaton, Keaton, che fine hai fatto, Keaton?
Se mi vedessi col mio trench stile Bogart, Keaton,
Sotto la pioggia che ti vengo a cercare...
Keaton, ah, Keaton, perché mi manca, Keaton,
Questa notte mi manca la tua voglia di star qui a suonare...
E finalmente un chissacchì non mi delude,
Forse, però non sa, probabilmente,
è in una provincia lontana come una palude
Dai nostri discorsi di suonare fra la gente;
Una provincia come una sconfitta,
Meno che essere una minoranza dignitosa,
E una palude è certo troppo fitta
Di voli di zanzara per suonarci qualche cosa...
Lo trovo e sembra che non sia più Keaton,
Anche se è contento di vedermi.
"Sembrava facile toccarlo con un dito", dice,
"Ma il cielo ci ha voluto tutti fermi".
E finalmente ride, ma ride tanto ed è ingrassato
E giura troppo che non sta poi male,
Il jazz ormai se l'è dimenticato:
Ci son parole, tempi e ritmi anche dentro un ospedale...
E nel lasciarmi all' inizio della sera:
"E' come", dice, "alla fine del cinema muto,
C'è il sonoro, non serve una tastiera..."
Ci salutiamo nel silenzio più assoluto...
Ed esco fuori con i miei giornali
E non ho voglia di ridere per niente,
Ho un treno che mi aspetta alla stazione,
Mi dà fastidio anche il rumore della gente...
Ah, Keaton, Keaton!
Keaton, quello vero, l'ultima volta che l'hanno visto passeggiava
Lungo le strade e per il vento di Roma
Durante le pause di un film con Franchi e Ingrassia.
Aveva in corpo mille litri di alcool,
La faccia la solita, senza allegria;
Si ubriacava ogni giorno con la troupe borgatara
Alla faccia della cirrosi epatica,
Perché lui ci teneva al suo pubblico,
Più che al suo fegato,
E gli elettricisti sono gente simpatica;
Gli urlavano infatti "anvedi s'è forte 'sto Keaton!",
Bevendo il bianco misterioso dei colli di Roma
O quello forte del sud che fa assaggiare l'infinito
A tutta la gente di bocca buona...
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