Sono le cinque del mattino. Ti alzi, fai le tue abluzioni rituali, hai già recitato la . la preghiera dei morti, tra poco inizierai . la preghiera dell'alba. Fuori il mattino sorge, ma è la notte che si stenderà sul mondo. Prendi il tuo ultimo bicchiere di tè, sei solo con te stesso. Hai ripetuto mille volte i gesti dalla tua missione, mentalmente conosci i mille passi che devi compiere e ti senti investito di potenza. Sono le cinque del mattino a Gerusalemme, le quattro a Roma e Parigi, le ventidue a New York. Esci di casa, ti senti leggero, libero più che mai perché da questo momento i tuoi gesti saranno irripetibili. Ti scrivo, mentre stai camminando con passo rapido, meccanicamente. Tra poco consegnerai al mondo angoscia e orrore. Certo, ti hanno detto che tutto questo lo farai in nome dell'Islam, sarai uno . Un martire. Per lunghi mesi ti hanno insegnato, fino a scolpirlo nella tua mente che Dio sceglie chi deve restituirgli la vita che lui ha dato e che la sua grazia che attraversa la vita si prolunga oltre la morte resuscitando l'uomo in paradiso. Ma questi maestri dell'orrore non hanno fatto altro che rubarti la vita e trasformare il tuo corpo in uno strumento per i loro piani di distruzione. Credimi sono stati abili nel convincerti a toglierti quel soffio di vita, quella sostanza con cui Dio ci ha mandati sulla terra. La morte non è mai una vittoria, quando trascina con se le ombre inquiete della nostra incapacità di capire. Quante volte mi sono chiesto come tutto ciò sia potuto accadere. Quante volte mi sono chiesto se è perché il dolore del mondo è così grande che la distruzione sembra rappresentare l'unica reazione possibile. E' perché sono infelici che gli uomini sono così crudeli. Così ti scrivo, che tu sia di Cecenia, di Palestina, di Indonesia, di Iraq o di qualche paese d'Europa o d'Occidente. Ti scrivo perché forse per tutti noi Musulmani è venuto il tempo di confrontarci, di spezzare un lungo silenzio pieno di immani tragedie, di sofferenze, di dolore. Ma il mondo intorno a noi ci chiede di testimoniare che la violenza non può essere lo strumento per risolvere i conflitti, che la pluralità delle fedi è la traduzione dell'unicità divina. Perché Dio non può mostrarci la sua unicità se non attraverso la molteplicità delle esistenze e delle testimonianze.